L'ARTE MILLENARIA

 

 

La pratica della guerra nacque quando un uomo desiderò qualcosa in contesa con un altro uomo; e da allora non ci ha più abbandonato. Considerato il fatto che le armi da fuoco sono una risorsa tutto sommato recente, soprattutto in Oriente, non possiamo escludere che l’arte marziale sia nata con l’uomo. Tuttavia le prove storiche dell’esistenza di una vera a propria disciplina di combattimento risalgono a tempi più vicini al presente e, per quanto riguarda la Cina, sono difficilmente distinguibili dalla leggenda. Infatti la documentazione giunta sino a noi è assai scarsa o inattendibile, tale per cui la trattazione storica è necessariamente, a nostro parere, incerta.

 

Proprio in epoca protostorica, al tempo del mitico Imperatore Giallo Huang Ti (circa 2697 a.C.), la leggenda narra dell’esistenza di una violenta forma di combattimento, il ch’ih yu hsi, in cui i contendenti indossavano copricapi muniti di corna, con le quali cercavano di trafiggersi; lo stesso Huang Ti se ne servì per sconfiggere il malvagio mostro cornuto Ch’ih Yu, figura allegorica the potrebbe celare un crudele capo militare dell’epoca. 

 

Più probabilmente  si trattava di una lotta a base di testate, chiamata go ti, sopravvissuta in forma rituale sino a tempi recenti.

 

Reperti archeologici risalgono invece al 1700 a.C., nella forma di vasche affrescate con scene di combattimento a mani nude.

 

Con l’avvento della dinastia Chou (XI-III sec. a.C.), appaiono le prime testimonianze storiche sulle arti marziali: nel “Libro dei Riti”, per esempio, si trovano numerose descrizioni di tenzoni a base di pugilato, lotta, scherma o tiro con l’arco. Il nome allora in auge per le arti marziali a mani nude era chi chi, “colpire con abilità”, branca militare minoritaria rispetto all’uso dell’arco o dei carri da guerra”.

 

Fu questo un periodo di grande fervore culturale,con la presenza di saggi che influenzeranno per sempre il pensiero cinese, arti marziali incluse. Tra essi Kung Fu Tzu (Confucio), il taoista Lao Tzu ed i grandi strateghi Sun Tzu e Wu Tzu.

 

 

KUNG FU TZU

 

 Ma contemporaneo di Confucio fu un saggio assai poco conosciuto nella stessa Cina, il maestro Mo Ti. Questi, che fondò un sistema filosofico di notevole interesse e complessità, fu anche un grande guerriero, a capo di un gruppo di cavalieri che rappresentò forse l’acme delle capacità marziali della storia cinese. Si era nel turbolento periodo degli Stati Combattenti (V-III sec. a.C.) e questi prodi guerrieri, chiamati yu hsie, “cavalieri erranti”, erano professionisti della guerra assai ricercati, al soldo dei signori locali.

 

Il celebre storico Szu Ma Chien (vissuto intorno al 204 a.C.) ci parla degli yu hsie come di individui di grande spessore morale, coraggio disinteressato e determinazione guerriera. Spesso, quando l’esercito di cui un gruppo di yu hsie faceva parte veniva sconfitto, i cavalieri erranti cercavano rifugio in villaggi isolati, su aspre montagne o nella quiete dei templi. Qui essi potevano creare, sotto la loro sapiente guida, scuole marziali e sette guerriere, contribuendo alla commistione tra abilità marziali a quella ricerca filosofico-esoterica che era parte integrante della loro vita.

 

I templi taoisti, in cui all’epoca si praticava una dottrina ancora permeata dall’animismo autoctono cinese, furono terreno fertile per lo sviluppo della vasta filosofia a che sta alla base del kung fu. Sorsero così arti al limite della magia, dai nomi misteriosi come fa shu, l’arte nera, yin shen shu, l’arte di far scomparire il corpo, o Mou Shan shu, l’arte dei monti Mou. E’ bene ricordare, comunque, che i maestri che portarono alla ribalta queste arti attingevano a pratiche antiche come la notte dei tempi, di cui loro non erano che i più recenti depositari.

 

Giungiamo così, attraverso un altalenarsi di rivolte e anni di pace, alla grande prosperità della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.). In questo periodo le arti marziali a mani nude vennero chiamate chi ch’iao, “abilità e talento”, oppure shou po, “mano che colpisce a pugno”; risale invece al I sec. d.C. l’invenzione da parte di Kuo I del chang shou, la “lunga mano”, uno stile che ha buone probabilità di essere un antecedente diretto della boxe del tempio Shaolin.

 

Spodestati gli Han, ebbe inizio il Periodo dei Tre Regni (220-280 d.C.), durante il quale le arti marziali vennero notevolmente raffinate e molti eroi ne rimpinguarono le leggende.

 

Poco prima di quest’epoca il medico taoista Hua To (141-208) codificò “il gioco dei 5 animali”, una serie di esercizi fisici ed energetici che prendeva spunto da cinque animali, (secondo altri storici gli animali sarebbero stati dieci): la tigre, l’orso, il cervo, la scimmia a la gru. E’ questa una delle prime testimonianze di ispirazione di una pratica fisica al regno animale, consuetudine che diverrà cara ai maestri di arti marziali.

 

     BODHIDHARMA  

     (TA MO)

La tappa successiva nella storia del kung fu concerne l’evento in assoluto più rinomato; si tratta dello stanziamento sul suolo cinese nel anno 527 d.c. del prete indiano Bodhidharma (Ta Mo in cinese), 28° patriarca del buddismo, che è stato considerato erroneamente l’iniziatore dello Shaolin kung fu.

 

Shaolin Szu (il Monastero della Piccola Foresta) sorgeva sulle pendici di uno dei monti sacri della Cina, il Sung  Shan , nella provincia di Honan; esso era stato eretto nel 496 d.c. dall’imperatore Wen Ti per ospitare il monaco indiano Pa Tuo e probabilmente aveva già ospitato tra le sue mura qualche monaco abile nell’arte del combattimento, oppure qualche esperto guerriero, attratto dalla recente rifioritura della dottrina buddista. Ciò che con maggior probabilità fece Bodhidharma, oltre a dare una svolta determinante al buddismo cinese con la consolidazione della setta Ch’an, fu l’apporto a Shaolin di tecniche d’ispirazione yoga, che aiutassero i monaci a meglio sopportare le estenuanti sedute di meditazione. A tal proposito, si attribuiscono a Bodhidharma due trattati di chiara matrice anatomofisiologica: l’ “I Chin Ch’ing” (“Trattato sul movimento dei tendini”) e lo “Hsi Sui Ching” (“Trattato sul lavaggio del midollo osseo”). Non sembra comunque così impossibile che Ta Mo fosse a conoscenza di tecniche di combattimento, essendo egli figlio di un re a per di più provenendo da una delle patrie storiche delle antichissime arti marziali indiane, Madras, nel Kerala. Ancora più probabile appare il fatto che in quegli anni, nel via vai di monaci indiani in Cina intenti a diffondere il buddismo e monaci cinesi in India per studiarlo, ci sia stato un qualche scambio di conoscenze marziali.

 

Comunque sia andata, cento anni dopo la scomparsa, avvolta nel mistero, di Ta Mo, cominciò a risuonare per tutta la Cina la fama di combattenti formidabili dei monaci Shaolin.

 

L’addestramento fisico a mentale dato dall’ascetismo monastico dava probabilmente i suoi frutti. Nel frattempo, e per tutta la storia del monastero, esso era rifugio sicuro di briganti pentiti e guerrieri convertiti o braccati. Tutti esperti nell’arte della guerra, che ebbero modo di confrontare con ciò che si praticava tra i monaci. Così il bagaglio dello Shaolin kung fu cresceva, come pure la sua fama, per arrivare al culmine tra 1500 e 1600. I racconti dell’epoca dicono che non fosse affatto facile essere ammessi a studiare a Shaolin Szu, e che una volta ammesso, il novizio veniva sottoposto a prove e umiliazioni che avrebbero scoraggiato persino i più forti, tutto allo scopo di saggiarne la personalità. Gli veniva poi rasato il capo, su cui un monaco anziano, durante un’apposita cerimonia, applicava delle bruciature per mezzo di una pasta vegetale scaldata da un bastoncino d’incenso. Quello era il marchio che suggellava indelebilmente la scelta del monaco.

 

A quel tempo non era facile neppure penetrare nel monastero, e tanto meno uscirne, senza il beneplacito dei superiori, poiché le vie d’accesso a esso erano costellate di infide trappole mortali.  Il monaco Shaolin avrebbe potuto lasciare il tempio solo quando i maestri lo avessero giudicato pronto. A quel punto, sempre secondo la leggenda, egli doveva superare un’ultima, terribile prova: le 36 camere.

 

Era questo un percorso tra le segrete del tempio, che il monaco doveva  percorrere per giungere al portale che conduceva all’esterno. Lì avrebbe trovato un pesante calderone di bronzo pieno di braci roventi, che recava sui suoi fianchi degli intarsi a forma di drago e di tigre; nell’afferrarlo per spostarlo dall’ingresso, il marchio del drago a della tigre si sarebbe impresso a fuoco sui suoi avambracci, a suggellare per sempre l’appartenenza all’ordine. Solo che ognuna delle 36 camere celava insidie mortali, contro le quali il monaco avrebbe dovuto battersi per dimostrare il proprio valore e la propria preparazione. Secondo una versione più realistica della storia, il monaco doveva affrontare 36 confratelli, ognuno dei quali avrebbe combattuto con modalità diverse a senza esclusione di colpi.

 

Uno dei primi stili Shaolin di cui si ha memoria è il Sho Pa Luohan Shou, le 18 mani dei discepoli di Buddha, sotto il cui nome vanno anche delle mosse giunte sino a noi. Famose furono anche le 32 tecniche del T’ai Tzu chang ch’uan, “la boxe lunga del Grande Antenato”, messe a punto dall’imperatore Chao K’uang Yin (X sec.). Alla stessa dinastia apparteneva anche il famoso generale ed eroe cinese Yueh Fei,

 

YUEH FEI

 

abilissimo nell’uso della lancia a creatore del pa tuan chin, gli “otto pezzi di broccato”, una ginnastica energetica che prepara il corpo al kung fu. Al comandante Yueh Fei la leggenda attribuisce anche la creazione del celebre stile interno hsing i. Ma lo stile che più facilmente viene ricondotto al monastero è il wu hsin ch'üan, il pugilato delle cinque forme, che si ispirava, come già fece Hua To, al modo di combattere di 5 animali: il drago, la tigre, il leopardo, il serpente e la gru.

 

Esso fu codificato nel XVI sec. dal monaco Chueh Yuan, dopo aver beneficiato dei consigli e delle modifiche allo stile Shaolin dei maestri Li Sou e Pai Yu Feng. Le 70 tecniche della forma wu hsing originali sono, per quanto se ne sa, andate perdute, e le forme omonime attuali sono tutte di costituzione di gran lunga posteriore.

 

Nel frattempo erano state pensate alcune forme un po’ più morbide di Shaolin, come il rou ch’uan, “pugilato morbido”, e il mien ch'üan, “pugno di cotone”, precursori degli stili interni; in realtà, per assistere alla vera a propria divisione tra stili interni ed esterni, bisognerà attendere la dinastia Ch’ing (1644-1911). Siamo qui a un altro punto cruciale della storia del kung fu: dal 1644 al 1911, la Cina fu dominata dai manchu, una rozza popolazione barbarica del nord che si impadronì con la forza del trono imperiale, spodestando l’ultimo imperatore Ming.

 

Fin dal primi momenti, tra il popolo cinese sorsero focolai di rivolta e  resistenza allo straniero. Gli ordini religiosi guerrieri si schierarono in prima linea e i monasteri divennero centri di addestramento e rifugio per i rivoltosi. La cosa non sfuggì all’esercito invasore, che, oltre a proibire con la pena di morte la pratica delle arti marziali e l’uso di armi, nel 1736 distrusse, ed era la seconda volta, il monastero di Shaolin.

 

La diaspora dei monaci scampati all’attacco, che ne seguì, li portò a disperdersi lungo tutto il territorio cinese. Essi si diedero ad addestrare segretamente il popolo, ovunque si trovassero, in vista della ribellione anti-manchu.

 

Questo causò da una parte l’ampia diffusione tra la popolazione civile di segreti marziali, che per secoli erano stati riservati solo a individui scelti accuratamente; dall’altra causò la dispersione dei maestri su un territorio vastissimo, determinando l’ulteriore frammentazione delle conoscenze a degli stili.

 

Contemporaneamente, senza dubbio con l’apporto clandestino dei monaci e dei clan guerrieri, vi fu un rigoglioso fiorire di società segrete, nate per opporsi allo strapotere dei dominatori e prendersi cura del popolo oppresso.

 

Esse furono le precorritrici delle moderne triadi, poi degenerate allo status di gang criminali. Grazie alla suddetta diaspora, comunque, molti stili del nord poterono raggiungere le province meridionali.

 

A tal proposito vi è una storia, diffusa negli ambienti del kung fu, secondo cui i monaci scampati alla distruzione del tempio Shaolin del 1736 trovarono rifugio a sud, nella regione del Fuchien e lì costruirono un secondo tempio (secondo alcuni autori il tempio Shaolin del Fuchien doveva già esistere, così come altri omonimi appartenenti allo stesso ordine), dove crearono la scuola Shaolin del Sud (Siu Lam in Cantonese), che dovette influenzare la formazione di alcuni stili del tempo. Ma pochi anni dopo il tempio del Fuchien seguì la sorte del primo e questa volta solo 5 monaci sopravvissero, per dare vita a nuovi stili di Shaolin del Sud. Tra essi il choi li fat, l’hung gar e il mok gar.

 

Del resto fu proprio durante la nefanda dinastia Ch’ing che emergono alla ribalta della storia molti degli stili tuttora conosciuti, come il t’ai chi ch'üan ed il pa kua per la scuola interna, il pai ho, il pai mei e lo yung chun per la scuola meridionale.

 

La dinastia Ch’ing cadde in seguito a una ribellione nel 1911 e un anno dopo veniva proclamata la Repubblica.

 

Ancora una volta le arti marziali risorsero a nuova vita, appoggiate dall’entusiasmo del governo, che arrivò a fondare a Nanching una grande accademia militare di kung fu, la Nanching Kuo Shu Kuan, dove vennero chiamati a insegnare alcuni tra i più grandi maestri dell’epoca.

 

Grandi maestri, il cui nome ancora brilla negli annali delle varie scuole. Ma la storia aveva in serbo una nuova tempesta per le arti marziali patrie: dopo la presa di potere dell’esercito comunista di Mao Tse Tung (1 ottobre 1949), le cariche governative hanno cercato di riorganizzare il vasto panorama delle arti marziali autoctone, epurandole dalla maggior parte delle tecniche marziali e creando in tal modo un mero esercizio sportivo, una sorta di ginnastica dalla coreografia marziale, caratterizzata, da un lato, da grande spettacolarità, dall’altro da una maggior cura per gli aspetti salutari della pratica. Questa disciplina, a cui si è tornato a dare il nome di wu shu, è oggi regolata, in Cina Popolare, dal Ministero dello Sport e insegnata da istruttori di educazione fisica dipendenti dal Ministero stesso. Ben poco a che vedere, dunque, con la saggezza guerriera dell’ antico kung fu (o, in base a quanto detto, wu shu tradizionale).

 

L’instaurarsi del comunismo in Cina a la conseguente Rivoluzione Culturale hanno rappresentato un periodo oscuro nella storia dell’arte marziale cinese, a causa delle feroci persecuzioni a cui vennero sottoposti i maestri tradizionali, che furono di conseguenza costretti alla macchia o all’emigrazione, qualora non avessero scelto di conformarsi alle nuove leggi.

 

Solo in tempi recenti la situazione sembra andare decisamente migliorando, con una rivalutazione del ricchissimo patrimonio storico del Regno di Mezzo.

Nel frattempo, l’arte raggiungeva gli edonistici lidi dell’Occidente.

 

Gli Stati Uniti, per via di precedenti legami risalenti all’800, sono stai territorio privilegiato e per quanto riguarda l’Europa, i francesi possono ben vantarsi di essere stai i primi ad avvicinare le arti marziali asiatiche . Senza escludere i contatti avuti dagli eserciti europei in occasione di campagne militari. Pensiamo in primo luogo ai moti xenofobi degli I Ho Ch'üan (i Pugni di Giustizia e Armonia), conosciuti in occidente come rivolta dei Boxers, proprio perché condotta da praticanti di kung fu. Questi (soprattutto coloro che, provenendo dallo Shantung, seguivano una forma esoterica dello stile mei hua ch'üan), prima di affrontare la battaglia, si autosuggestionavano con pratiche mistiche, a tal punto da considerarsi impenetrabili dalle pallottole della nutrita artiglieria dei reparti occidentali.

 

Il risultato, quando i boxers si gettavano all’arma bianca tra le file dei fucilieri, non fu certo la supposta invincibilità, tuttavia i soldati europei rimasero letteralmente abbacinati dalle capacità quasi sovrumane dimostrate da questi uomini in combattimento.

 

Di recente ha fatto poi la sua comparsa al di fuori della Cina Popolare anche la già menzionata disciplina sportiva del wu shu moderno, appoggiata con enfasi promozionale dal governo di Pechino e accolta con favore ovunque (anche se la prima apparizione reale la fece nel corso delle Olimpiadi di Berlino del 1936). Dapprima basata esclusivamente sulle coreografie del singolo atleta o su combattimenti preordinati, a mani nude o con armi, la disciplina da alcuni anni s’è arricchita di un settore che si occupa del combattimento libero sportivo, il sanda.

 

Il wu shu codificato per le gare si divide anch’esso in stili del Nord (chang ch'üan) e del Sud (nan ch'üan), con l’aggiunta di categorie riservate ai cosiddetti stili d’imitazione e agli stili interni.

 

Anche in molto del kung fu, o wu shu tradizionale, è oggi sviluppata la pratica sportiva, cosa che in realtà sarebbe un controsenso, e le scuole ortodosse ne sono ben coscienti. Anche qui vi sono gare di forma singola o a coppie, con armi o senza, e gare di combattimento libero, ma generalmente le regole di attribuzione dei punti differiscono da quelle del wu shu moderno, nella misura in cui differiscono gli intenti ideali delle due arti.